Etica della comunicazione


Etica e comunicazione L'atto filosofico per eccellenza, è la riflessione sull'agire. La riflessione è ciò che può interrompere lo svolgimento di altri atti, che può produrre una presa di distanze da ciò che stiamo facendo, allo scopo di comprendere meglio una certa situazione e di trarre indicazioni per i comportamenti futuri.
In occidente, fin dall'antichità, questa riflessione filosofica si rivolge ai nostri atti, al nostro agire, ai nostri atteggiamenti, viene chiamata etica; si tratta di una riflessione sull'agire che risulta essere l'agire proprio della filosofia.
Ma "etica" nomina anche il complesso dei criteri che guidano l'azione, i principi e le consuetudini che regolano i comportamenti del singolo o di una comunità, sia in generale che in un determinato periodo storico. Tali principi non sono assunti o scelti consapevolmente, ma costituiscono lo sfondo condiviso dei nostri comportamenti quotidiani.
La parola "etica " deriva dal greco ethos che significa "comportamento", "costume", ma anche l'intimo legame di ogni comportamento alla dimensione della dimora e della comunità.
Infatti, l'agire può consolidarsi in un'abitudine, in un costume e questo è il costume condiviso dalla comunità, quello capace di identificarla nei suoi specifici caratteri.
"Ethos" trova un unico corrispondente nel latino con il sostantivo mos, moris.
Infatti nelle lingue in cui il flusso del latino risulta determinante, si riscontrano due vocaboli: "etica" e "morale" usati indistintamente per cogliere tanto l'ambito delle nostre azioni quanto la riflessione su di esse; tanto la prassi individuale quanto la dimensione delle regole comuni.
In filosofia si è cercato di evitare ambiguità tra questi termini: così per indicare la riflessione filosofica che ha per oggetto l'ambito della prassi umana si usano le espressioni filosofia morale/etica filosofica. Mentre la ricerca che vuole stabilire la natura dell'etica e definire i metodi di prova e dimostrazione in essa viene indicata con le espressioni meta-etica/meta-morale.
Infine la morale indica la sfera delle azioni umane nella loro concreta storicità; mentre l'etica descrive la disciplina che le prende in esame e che ne fa il suo oggetto specifico.
Fin dal mondo greco, l'attività filosofica è sempre iniziata da un'interrogazione: le domande sono sempre le stesse e servono ad individuare ciò che qualcosa è, e a descrivere i vari modi di questo suo essere, per inserire ciò su cui ci si interroga in una più ampia rete di relazioni ricercandone gli scopi.
Domande analoghe si ritrovano nell'etica, e riguardo all'agire ci si può chiedere che cos'è quello che stiamo facendo e come un certo atto si configura. Domande dell'etica Che cosa sto facendo? Come lo sto facendo? Spinto da quale istanza? E per quale scopo? Che cosa debbo fare? Perché lo faccio o lo debbo fare? Che senso ha il mio agire?
Queste domande vengono estese a un'attitudine che si ritiene condivisa da ogni uomo.
Infatti la mossa filosofica intende condurre un discorso che valga non solo per il singolo uomo, ma per tutti gli uomini.
Le questioni relative alla definizione dell'agire -cosa è e come si configura- risultano dominanti nell'ambito dell'etica antica; mentre le tematiche relative al dovere contraddistinguono la tradizione ebraico-cristiana e sono il riflesso di quella scissione fra ciò che l'uomo è portato a compiere e ciò che invece gli viene richiesto da un'istanza superiore.
Il problema del senso dell'agire (perché io faccio o debbo fare qualcosa), emerge come problema filosofico nel momento in cui viene meno la risposta religiosa.
La definizione dei modi dell'agire mira ad individuarne le cause. Conoscendo tali cause, è possibile ricavare previsioni su comportamenti futuri e fornire indicazioni su ciò che nell'agire stesso deve essere perseguito. Cos'è l'etica della comunicazione Nell'ambito delle etiche applicate rientra anche l'etica della comunicazione, una disciplina nata nella seconda metà del 900, sebbene l'attenzione per gli aspetti etici del linguaggio sia antica quanto la filosofia.
Nella riflessione contemporanea l'etica della comunicazione ha trovato importanti sviluppi nell'area culturale anglo-americana. In Italia, queste tematiche sono arrivate in ritardo, ma negli ultimi decenni si è recuperato il tempo perduto, anche grazie a indagini provenienti dal campo dagli studi della comunicazione di massa.
Perché sembra oggi indispensabile sottoporre i processi comunicativi ad un vaglio etico? Oggi, nel mondo dominato dai mezzi di comunicazione di massa, vige una disattenzione per le regole e i principi e sembra che nell'ambito comunicativo domini uno scarso rispetto per l'ascoltatore (considerato come un bersaglio da colpire), un'insufficiente attenzione per le esigenze che provengono dalle varie fasce di utenti (tutti subordinati indistintamente ai meccanismi della pubblicità) e un abuso dei mezzi d'informazione. Emerge quindi un bisogno di etica.
Diviene urgente mostrare che nei processi comunicativi è necessario riferirsi ad alcuni principi di comportamento e che tali principi devono risultare universalmente condivisibili: debbono configurarsi come validi in generale.
Molti sono i principi condivisi ai quali è fatto riferimento nell'esercizio della prassi comunicativa: dal criterio dell'utilità (dominante nelle comunicazioni di massa), al criterio della condivisione (dominante nelle relazioni interumane che mirano al raggiungimento di un'intesa).
Il compito dell'etica della comunicazione consiste nel fondare in termini filosofici ciò che può essere detto "buono" in un senso morale e di motivare all'adozione dei comportamenti comunicativi che lo promuovono.
Vi è la consapevolezza che tali principi non sono scelti da nessuno ma che vengono subiti sia dagli operatori che dagli utenti; essi risultano interni ad una logica che finisce per autoalimentare i processi della comunicazione e che è caratterizzata dall'intreccio di una certa idea di comunicare.
La condizione in cui si trovano ad agire gli operatori della comunicazione, ma nella quale anche noi stessi viviamo, sembra essere quella di una diffusa irresponsabilità. Si ha la consapevolezza che facendo comunicazione rischiamo di non essere più soggetti morali. Questo ci impedisce di adeguarci ai principi di comportamento che sono impliciti nei meccanismi della comunicazione. Questo ci motiva a elaborare un'etica della comunicazione come disciplina filosofica autonoma: il fine è di riappropriarci delle nostre responsabilità. Cos'è in generale l'etica della comunicazione L'etica della comunicazione è la disciplina che individua, approfondisce e giustifica quelle nozioni morali e quei principi di comportamento che sono all'opera nell'agire comunicativo, e che motiva all'assunzione dei comportamenti da essa stabiliti.
Da un lato l'etica della comunicazione si configura al pari delle altre etiche applicate come la messa in opera di quei principi morali che l'etica generale è deputata a fissare ed elaborare. Dall'altro lato nel corso del 900 la nozione di "agire comunicativo" ha acquisito un ruolo emblematico e determinante. Ciò è avvenuto in 2 modi:

  1. E' emerso che quando si parla di comunicazione si ha a che fare con un atto, con qualcosa di dinamico e non già con un fatto che si compie seguendo una forma standard, fissa. Il comunicare non appartiene all'ambito della natura, ma alla sfera della possibilità. Si apre una prospettiva di ricerca che considera la comunicazione come un agire e ne analizza processi e scopi.
  2. La consapevolezza di tale autonomia all'interno della comunicazione, ha comportato la "svolta comunicativa" della filosofia contemporanea: il riconoscimento della funzione paradigmatica che gli studi sulla comunicazione assumono nei confronti delle altre discipline che si occupano del linguaggio, ma soprattutto l'assunzione del ruolo fondamentale che l'attività del comunicare gioca all'interno del pensiero umano.

L'etica della comunicazione, in quanto etica applicata, fornisce le condizioni che consentono di giustificare comportamenti universalmente riconosciuti come morali. Che cosa significa comunicare La definizione classica del termine "comunicazione" dice che: "comunicare significa trasmettere pensieri, idee, notizie, informazioni, dati (messaggi) ad altri".
"Comunicare" significa "trasmettere". L'etica della comunicazione oggi Non possiamo non comunicare. Ma possiamo comunicare bene o male. All'interno del contesto comunicativo si apre un ambito di scelte e nasce l'esigenza di un'etica della comunicazione.
Bisogna approfondire i modi differenti in cui l'impegno etico si può presentare, da un lato nell'agire comunicativo quotidiano, dall'altro nell'attività di coloro che fanno della comunicazione il loro mestiere. Bisogna mettere in luce le indicazioni morali con cui si confrontano per un verso gli operatori della comunicazione, e per l'altro ogni potenziale interlocutore.
Possiamo considerare i nostri comportamenti secondo due aspetti:

Etica della parola, etica della scrittura, etica delle professioni comunicative:
Chi parla, chi scrive vuole essere creduto. Chi ascolta, chi legge ha una disposizione a credere. Chi parla e chi ascolta risultano entrambi legati da un rapporto di fiducia. Chi parla si presenta come credibile e dev'essere in grado di esibire le credenziali di questa sua credibilità Scritto: con l'esercizio della scrittura viene meno il coinvolgimento diretto che lega parlante ed ascoltatore. Nel rapporto fra gli interlocutori si intromettono le parole scritte. Di fronte allo scritto viene meno la responsabilità di chi si esprime.
Allo stesso modo in cui c'è un'etica della parola, c'è un'etica della scrittura, che ha la capacità di individuare i modi in cui il legame della comunità della comunicazione si ripropone a vari livelli di mediazione, messi in opera dalla presenza del segno scritto che fa da intermediario fra gli interlocutori.
La dimensione della fiducia e della credibilità è ciò che è chiamato a custodire chiunque comunica, nei vari modi in cui lo fa e in conformità con le competenze che ha acquisito.
Questione della verità: rappresenta un problema per chiunque voglia elaborare un'etica della comunicazione.
Bisogna distinguere tra "verità" e "veridicità". La verità è definita in termini di una corrispondenza tra ciò che dico e ciò che è; mentre la veridicità chiama in causa un altro tipo di corrispondenza, quella fra ciò che penso e ciò che dico.
Giornalista: si dice che la comunicazione sia un fattore di democrazie e di umanità. I giornalisti contribuiscono con la loro attività a salvaguardare questa sfera pubblica.
Oggi alcune società democratiche pur di proteggere questo legame comunitario, sacrificano l'obiettività, la correttezza, la verità; lo fanno anche i giornalisti che dovrebbero invece rispondere all'opinione pubblica. Così l'informazione rischia di essere subordinata alle esigenze della propaganda.
In molti altri casi l'esigenza di coesione ha preso il sopravvento sulla correttezza dell'informazione. Il giornalista non può essere obiettivo in quanto le notizie le da all'interno di una determinata ottica. Il giornalista non rispecchia il mondo ma lo interpreta. Anche in campo giornalistico il riferimento alla deontologia professionale risulta indispensabile; ma non è sufficiente in quanto solo in Italia esistono molti codici deontologici, ma ci sono problemi che investono la nostra informazione: manipolazione della realtà, sovrabbondanza delle informazioni, mercificazione delle notizie...
Televisione: la televisione ha la capacità di creare verosimiglianze, di moltiplicare immagini, di ampliare le possibilità di pensare. Nella tv realtà e irrealtà si confondono: tutto è finzione e tutto risulta "vero". Ciò che si vede si offre nella sua immediatezza e si crede che corrisponda a qualcosa di reale. Quindi si insinua il giudizio morale per il quale ciò che non si vede, allora non esiste.
Nulla sfugge alla spettacolarizzaione e se tutto è spettacolo viene meno la distinzione fra realtà e apparenza.
Anche per quanto riguarda la televisione sono stati elaborati codici deontologici, ma non bastano perché bisogna lavorare sul senso di responsabilità del giornalista.
Internet: le tecniche della comunicazione hanno modificato il rapporto con gli altri uomini e con il mondo. Le domande etiche devono quindi riguardare anche la configurazione dei nuovi media, i cambiamenti che possono esercitare sull'uomo e sul mondo. Si viene a creare uno spazio virtuale.
"Virtuale" è il potenziamento della realtà: esprime quella possibilità dell'uomo che le nuove tecnologie danno il potere di realizzare. "buono" sarebbe ogni mezzo che consente la realizzazione di se e dei propri desideri. Ma s'annuncia il problema che il virtuale, sta creando una crescente virtualizzazione del reale, ossia portando ad una perdita di consistenza dell'esistente. La realtà viene decostruita e si trasforma in apparenza.
Nasce l'"etica in Internet" ossia quell'insieme di comportamenti che possono essere adottati quando si utilizzano le possibilità del web e quando si naviga in rete. Nascono i codici di regolamentazione, ma questo insieme di criteri richiede la presenza di un moderatore in grado di sanzionare le trasgressioni. Nel web non è possibile dal momento in cui Internet non è gestito da un supervisore unico e quindi ogni utente è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità e trova in se stesso le motivazioni che lo inducono a seguire un comportamento corretto.
Anche per regolamentare l'agire all'interno della rete non bastano i codici. Bisogna fornire le motivazioni e stabilire perché bisogna compiere determinati atti piuttosto che altri il compito dell'etica in Internet.